giovedì 22 ottobre 2009

Un sorprendente esempio di revisionismo storico

Il 12 settembre, a Milano, si sono tenuti i funerali di stato per un improbabile partigiano, ignoto antifascista, senatore a vita mancato, ma straordinaria maschera che va ad arricchire la commedia dell'arte italica: il Domandiere, che ignora la risposta, qualsiasi sia la domanda che legge. Nell'occasione, proponiamo questa analisi di Felice Accame.

ps- Ci fa notare Antonio A. - riportando l'osservazione di Beccofino - che, a proposito di partigiani, antifascismo e mancati senatori a vita, invece, Vittorio Foa, i funerali di Stato non li ha avuti. Meglio così. Echissenefrega.


Un sorprendente esempio di revisionismo storico

di Felice Accame, sta in Antologia critica del sistema delle stelle, Roma Odradek, pp. 154-156.

«Idolatrato da milioni di persone, ... deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita ... ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto». Fossero state scritte, queste parole, nel 2004, e se dovessimo indovinare a chi si riferiscono, ci troveremmo in imbarazzo. [...] Ma questi giudizi sono stati formulati nel 1961, allorché era piuttosto facile individuare la persona cui si potevano adattare. Per l'appunto nel 2004, Aldo Grasso ci ha dato una strana lezione di ermeneutica. Ci ha spiegato – cosa che non saremmo mai riusciti a capire da noi – che "le cose cambiano in continuazione", che "cambiano gli spettatori, cambiano i presentatori, cambiano i punti di vista, cambiano i contesti, cambiano, col tempo, anche i testi analizzati". Il che sarebbe come dire che non devo fidarmi delle analisi dell'orina del lunedì mattina perché l'orina del mercoledì sarà diversa. Il che sarebbe come dire "di analisi non facciamone più". Il che rappresenta la punta ideologicamente più avanzata del pragmatismo berlusconiano. Questa strana e inconsulta lezione, Grasso ce la somministrava per festeggiare l'ottantesimo compleanno di quel "signore del buonsenso" che, a suo dire, è Mike Bongiorno. Il Mike Bongiorno di oggi, secondo il Vangelo di Grasso, "sfoggia cultura, quella cultura popolare che lo ha reso famoso e che gli ha permesso di svolgere un ruolo non indifferente nel lungo processo di costruzione dell'identità italiana". Da genio quale è, questo Bongiorno avrebbe sempre saputo scegliere il "punto di vista del 'semplice'" (con le virgolette parachiappe). Le sue "gaffe, bizze, goffaggini" sarebbero state parte di un suo acuto marchingegno d'intelligente ingegneria sociale e chi, nel passato, avesse avuto qualcosa da ridire nei suoi confronti sarebbe un "entomologo dell' ovvio". In ragione di ciò, Grasso chiede a gran voce che Umberto Eco, – che nel 1961, sulle pagine della rivista Il Verri, pubblica quella Fenomenologia di Mike Bongiorno che poi, insieme a qualche scherzo letterario e a saggi storicamente significativi come l'Elogio di Franti, raccoglierà nel fortunato Diario Minimo - Fenomenologia di Mike Bongiorno da cui ho tratto quel bozzetto iniziale –, ritiri quanto ha scritto e che, in pratica, ne firmi una riabilitazione.
La sera del l giugno del 2004, nei giardini del Quirinale, il Presidente della Repubblica Ciampi festeggia il cosiddetto "compleanno della Repubblica". Concerto e cocktail per duemila invitati che il giornale su cui scrive Aldo Grasso definisce "rigorosamente selezionati". La serata – che non soltanto fotograferebbe i "poteri in corso", ma che segnalerebbe altresì "chi sale e chi scende nella teleaffettività degli italiani" – costituirebbe un "trionfo" per Mike Bongiorno. Che piange di commozione per le belle parole che Ciampi (lettore attento di Grasso, evidentemente, e sulle stesse posizioni ermeneutiche) trova per lui. Non solo. Riferiscono le cronache che, più tardi, Mike Bongiorno trovi la forza di rivelare cosa gli ha detto Franca Ciampi. Gli ha detto: "Mi ha detto che sono più bello dal vivo". Mi è capitato più volte di sentirmi come un personaggio di quel vecchio film di Don Siegel, L'invasione degli ultracorpi, e di scoprire all'improvviso che anche il mio interlocutore è uno di loro. Qui è chiaro – è l'illuminante frase di Franca Ciampi a farcelo comprendere – che, in quei giardini del Quirinale, tutti siano dei loro. Ma quel che dice Franca Ciampi verrà pure da qualche parte. Voglio dire che, incontrare Mike Bongiorno e ritenere opportuno e sensato dirgli che "è più bello dal vivo", è una scelta che proviene da una matrice culturale fin troppo chiara. Quel pensiero sa, in altre parole, di Mike Bongiorno stesso, dall'inizio alla fine. Anzi, giurerei che è fin suo, suo ideologicamente e suo storicamente. Anni or sono, allorché ha cominciato a produrre i signori e le signore Ciampi, avrà pur detto a qualcuno: "ma sa che lei è più bello dal vivo". È il tipico campione della cultura bongiornica e, soprattutto, è il tipico segno delle scelte politiche che hanno condotto a questa cultura. Non ho mai apprezzato gran che La fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco. Per difetto di critica nei confronti del personaggio, non per eccesso. Come buona parte degli scritti di Eco, la ritengo più l'espressione giocosa di una borghesia intellettuale che il risultato di una critica radicale del sistema culturale e della sua filosofia. Chi indugia su categorie come quella della "mediocrità", o chi crede che la comunicazione televisiva possa essere analizzata e risolta in termini di rapporti gerarchici fra chi sta da una parte e chi dall' altra del video – non chiedendosi né le radici politiche di ciò che lui categorizza come mediocrità né perché qualcuno sta da una parte e qualcun altro sta dall'altra parte del video –, in fin dei conti, sta semplicemente ribadendo altre gerarchie costituitesi secondo il proprio punto di vista. Spero sinceramente che Eco non accolga l'invito di Aldo Grasso e lasci Mike Bongiorno in quel modestissimo inferno in cui l'aveva piazzato a suo tempo. O meglio, se Eco volesse dimostrare di esser cresciuto – e dal 1961 al 2004 ne avrebbe fin il dovere –, e di non far parte di questa miserevole servitù di regime, potrebbe riscrivere La fenomenologia di Mike Bongiorno e rincarare la dose. Con un'appendice dal titolo: "Mike Bongiorno come ontologia e come costruzione sociale: due linee a confronto". �