martedì 14 aprile 2009

A proposito di Stalin

Martedì 17 marzo, nella libreria Odradek di Roma, ho moderato la discussione sul libro di Domenico Losurdo Stalin. Storia e critica di una leggenda nera. Questo il testo del mio intervento.

Non sono uno storico, né un politologo. Mi è sempre dispiaciuto non appartenere alla prima categoria, e come molti, usurpo spesso l'appartenenza alla seconda. Più che uno storico mancato, mi considero un loggionista della storia, e in questa veste, forse, la libreria mi ha incaricato di organizzare questo incontro per favorire una discussione sul libro di Domenico Losurdo: Stalin. Storia e critica di una leggenda nera.

Con Giacomo Marramao e Nicola Tranfaglia, che ringrazio, a parlare di un libro che, sebbene dal titolo faccia pensare a una biografia – ma i filosofi sono restii a scriverne di biografie, anche se spesso ne sono avidi lettori – nel sottotitolo avverte che si tratta semmai di una specie di “critica dell’ideologia”, proprio del tipo di ideologia più spiccia e diretta: quella dell’abominazione, della damnatio memoriae.
Stalin come pretesto, uno schermo su cui proiettare i cangianti umori di pubbliche opinioni, i mutevoli e mutati giudizi di sottoposti e gregari, opinion makers soprattutto, i grandi maghi dello stereotipo.

Tra un po' toccherà a Mao. Scrive Federico Rampini, in L'ombra di Mao. Sulle tracce del Grande Timoniere: Mao «in compagnia di Adolf Hitler e di Josif Stalin, per formare insieme a loro la mostruosa Trinità nel Pantheon negativo dei più grandi criminali del XX secolo».

La storia come Storia di grandi criminali, storia fatta a suon di Libri neri. Non so se è il pubblico a volerlo, ma certo la produzione di "mostri gemelli" – come li chiama Losurdo – è un'industria che non conosce crisi, da Pol Pot, fino a Milosevic (Hitlerosovic titolava "Diario"), fino a Saddam, in un crescendo isterico di scambi figura-sfondo, in cui la psicopatologia rimuove contesto e pregresso, cioè la storia.

Con Marx la storia cessò di essere la cronaca di condottieri e di alcove, diventando storia di lotta di classi. Ora decade a compilazione di cartelle cliniche.
Dice Canfora, nel contributo al volume: quando riusciremo a parlare pacatamente e in maniera distaccata di Stalin come possiamo fare del sanguinario Robespierre? Certo, il vero problema è «il nesso tra Rivoluzione e Terrore, il duro problema» da Robespierre a Stalin passando per Lenin. Ma questo è un problema filosofico, temo.

Intanto, lo stereotipo, la leggenda. Ma le leggende contemporanee, di cui si occupa Marc Bloch – e di cui in Italia si è occupato Cesare Bermani – non hanno come genere prossimo le leggende metropolitane – le urban legends – bensì quelle confezionate in tempo di guerra dagli Stati maggiori, come la "leggenda dei franchi tiratori" diffusa dall'esercito tedesco contro la popolazione belga nella Grande guerra, al fine di incrudelire il proprio esercito occupante.

Voglio dire che le leggende contemporanee, questa "leggenda nera", non sono una produzione inconsapevole di un immaginario collettivo, bensì il portato di politiche pianificate di disinformazione. E ce n'è voluto perché il vincitore di Hitler finisse con l’essere accomunato a Hitler.

Ho definito questo libro una sorta di critica dell'ideologia di cui un filosofo come Losurdo si è voluto incaricare di restaurare non certo la figura di Stalin, ma un corretto rapporto con le figure e i processi storici, andando a cogliere i modi della mistificazione.

Ogni tanto qualcuno parla di "macabra aritmetica" con riferimento alla contabilità delle morti relative ad eventi e processi storici. Credo sia un nodo ineludibile, visto che la propaganda e coloro che la riproducono sono soliti alterare proprio la partita doppia della contabilità dei morti, addebitando generosamente al "mostro", e senza beneficio d'inventario, tutte le morti coeve, anche quelle dovute agli avversari (come i 750.000 morti cambogiani dovuti ai bombardamenti americani e non a Pol Pot).
Personalmente sono convinto che la Storia la si scrive e la si legge con l'aiuto delle carte geografiche ma anche di una calcolatrice, per contare i morti, certo. Per avere cioè cognizione dell'ordine di grandezza dei fenomeni, ma anche per poterli attribuire a una parte o all'altra sulla base di documenti e testimonianze, e sul loro controllo incrociato. Una condizione necessaria, anche se non sufficiente. Col risultato di dissacrare la storiografia dei piaggiatori o dei pugilatori a pagamento. Finché è possibile. Ma il sistema mediatico è assolutamente impermeabile e refrattario a queste sollecitazioni. Le ignora, e basta.

Paradossalmente, a mitigare l'unilateralità delle ricostruzioni di comodo può occorrere la fiction: il "bravo" sceneggiatore, anche prevenuto, è costretto a ricostruire la psicologia del "mostro", con la tecnica del chiaroscuro, rilasciando qualche tratto "umano" – anch'esso ugualmente falso e mistificante, naturalmente.

O l'eterno presente della civiltà dell'immagine che recupera e assortisce misericordiosamente personaggi lontani nel tempo, ucronia e utopia, come il dipinto di tre artisti cinesi che assembla 103 personaggi storici sotto lo sguardo di Dante Alighieri a mo' di regista. Gira in rete (http://tv.repubblica.it/copertina/la-tela-dei-famosi/356?gallery), e vi si possono cogliere Marx e Nietzsche, Stalin e Aristotele; Hitler e Mussolini che ascoltano Beethoven che suona il piano...

Claudio Del Bello

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